Prima Parte
Alla ricerca del passato: Partinico e la sua storia.
Di Tommaso Greco Aiello
Prima Parte
Alla ricerca del passato: Partinico e la sua storia.
Di Tommaso Greco Aiello
INTRODUZIONE
Prima di iniziare a parlare della storia di Partinico, mi piace dare una panoramica di questa cittadina inserita in un territorio tra i più fertili e i più notevoli dei comuni della Sicilia occidentale. Tale territorio ha una sua inconfondibile individualità, delimitato com’è da una catena di monti a semicerchio. Questi monti sono dei rilievi calcarei mesozoici che emergono da una coltre cenozoica del Paleogene, rappresentata per lo più da marne, argille ed arenarie. Una breve pianura di origine alluvionale conduce questi monti verso il mare e fa parte del più vasto sistema del Golfo di Castellammare. Partinico, per la sua posizione (38°03’00 di latitudine Nord e 13°07’00 di longitudine Est) e per la sua vicinanza col mare (circa 5 km.), gode di un clima spiccatamente mediterraneo. Durante l’estate è influenzata dalle masse d’aria anticiclonica di provenienza sahariana, per cui il suo clima è caldo e asciutto, anche se in questi ultimi anni è attenuato dalla presenza delle acque del bacino Poma che portano molta umidità, specialmente la sera. Le precipitazioni molto scarse in estate, si concentrano nel periodo autunnale e invernale (da novembre a marzo), sollecitate come sono dai venti ciclonici occidentali, e raggiungono circa 1 metro. Ne risulta un’idrografia estremamente torrentizia, che riveste quindi una scarsa importanza economica. Il corso d’acqua più importante è il fiume Jato che ha una lunghezza di circa 25 km., una larghezza massima di m.15 e una portata massima di circa 200 litri. Nasce dalle sorgenti della Cannavera, tra M. Signora e Pizzo Aiello che fanno parte del sistema montuoso a nord di San Giuseppe Jato e sono la continuazione di M. Gradara, M. Platti e M. Mirto. In contrada Cammuca-Fellamonica riceve le acque del torrente Balletto che scorre lungo il vallone Desisa, attraversa la contrada Giancaldara e subito dopo alimenta il bacino artificiale Poma. Con un percorso molto tortuoso bagna poi le contrade Cannizzaro, Cicala, Bellaciera e Pantalina dove accoglie le acque del Ciurro Murro e infine va a sboccare sul litorale tra Trappeto e Balestrate. L’altro fiume di rilevante importanza è il fiume Nocella (10 km. circa) che nasce dalle montagne di Sagana e attraversa le contrade Marcianò, Terranova, Bracco, Cozzo di Cardone e sbocca nell’insenatura del mare di San Cataldo. Questi due fiumi, certamente navigabili prima del completo disboscamento della piana avvenuto nel XVI secolo delimitano il territorio di Partinico a Nord-Est e Sud-Ovest ed hanno contribuito non solo allo sviluppo economico del paese, ma hanno avuto un’importanza fondamentale dal punto di vista storico perché hanno permesso la penetrazione verso l’entroterra sin dall’VIII-VII sec. a. C. dei colonizzatori dorici. Altri torrenti di minore entità attraversano poi la pianura e in passato assieme ai due maggiori alimentarono i vari mulini che sorgevano nel nostro territorio (Mirto, Tauro, Piano del Re e i tre di Via Mulini). Malgrado viviamo nel XXI secolo, e nonostante la costruzione della Diga Jato (1963-1969) che ha permesso in passato con i sui 65 milioni di metri cubi di acqua di irrigare tutta la Piana di Partinico (per come aveva voluto e previsto Danilo Dolci) l’utilizzazione del suolo è ancora prevalentemente estensiva e le rese produttive non sono molto alte. L’economia agraria è caratterizzata dal predominio delle colture erbacee e dall’enorme diffusione di quelle legnose. Molto modesta è invece l’estensione delle colture foraggere permanenti e del tutto insignificante quella del bosco. Comunque le tre colture fondamentali del nostro territorio sono la vite, l’ulivo e il grano. Su un piano inferiore abbiamo poi la produzione degli agrumi e la nascita delle serre, in quanto l’acqua del bacino Poma, su cui sperava tutto il territorio, da diversi anni non viene più erogata regolarmente per diversi motivi: la diminuzione delle acque piovane, la fatiscenza delle condutture e la rapacità di Palermo che per bere attinge smodatamente. L’incertezza della disponibilità di acqua non favorisce certamente il nascere di nuovi impianti colturali. Dopo la chiusura delle due fabbriche di pomodoro la sua coltura è diminuita notevolmente. La costruzione della Diga Jato sul bacino Poma lasciava sperare in una radicale trasformazione dell’agricoltura, anche perché il paese ha avuto sempre questa vocazione che è l’unica strada da seguire assieme al turismo. Tutto ciò è però fallito miseramente per i motivi di cui tutti siete a conoscenza. C’è da dire inoltre che la struttura agraria e sociale del nostro paese nel passato è stata caratterizzata dalla persistenza della grande proprietà(ricordiamo a titolo di curiosità alcuni dei più grossi feudatari dei secoli scorsi: Il principe di Cutò, il Marchese di Villabianca, il Barone Pietro di Miceli, il Marchese Pietro Bellaroto, Francesco Simone Tarallo duca della Miraglia e della Ferla, Francesco Oneto duca di Sperlinga, il barone del Grano, il barone Andrea Gallo, Giovan Michele De Francisci barone della Leggia, Vincenzo del Castillo marchese della Gran Montagna, Geronimo Seregnano, Salvatore Mottola, Paolino Gesugrande, Niccolò Eleofante, ma ormai essa non ha più le dimensioni né i caratteri di latifondo. La realtà è che oggi la maggioranza del territorio è diviso in piccolissime e piccole aziende (sotto i 5 ha.) che per la maggior parte hanno una conduzione diretta. Bisogna dire però che i coltivatori in proprio costituiscono una classe privilegiata di contadini, sono i cosiddetti “burgisi”, che ricordano l’antica “burgisia” siciliana dei primi secoli del feudalesimo. A questa dovrebbe contrapporsi la classe dei “viddani” , braccianti salariati fissi o giornalieri, che si collocano
all’ultimo gradino della struttura sociale agricola e a Partinico questi hanno avuto sempre un peso alquanto marginale, perché in effetti i “viddani” di Partinico sono anche dei piccoli o piccolissimi proprietari che nel loro tempo libero per incrementare le entrate prestano la loro opera al servizio dei proprietari più grossi o dei proprietari che non coltivano direttamente la terra. Un altro aspetto negativo è che non esistono cooperative agricole. Se cooperazione c’è stata in passato, è da individuare in un solo settore, quello vinicolo, perché ha permesso di mascherare in parte la sofisticazione. Certamente legata al problema dell’agricoltura è stata infatti la sofisticazione del vino che ha avuto il suo “boom” negli anni settanta ed è nostro dovere evidenziare i danni arrecati all’agricoltura. Negli anni del suo maggiore incremento, si è verificato un progressivo abbandono della terra con danni incalcolabili per l’agricoltura, per cui questa ancora stenta a decollare malgrado la presenza del bacino idrografico che doveva costituire la ricchezza per tutta la zona secondo la visione lungimirante del sociologo Danilo Dolci che però non poteva prevedere l’incapacità e la non volontà non solo dei nostri amministratori locali e regionali, ma degli stessi cittadini. Altri aspetti negativi che sono sorti di riflesso vanno individuati in una incontrollata(volutamente) espansione edilizia, il rincaro generale dei prezzi, la costituzione di una classe sociale boriosa ed arrogante. Oggi la sofisticazione non esiste più (a onor del vero abbiamo appreso in questi giorni che le forze dell’ordine hanno individuato dei cittadini che da tempo hanno sofisticato aggiungendo al mosto acqua e zucchero ricavando lauti ed ingenti guadagni) ed ha preso il suo posto LA DROGA. Partinico è un grosso centro di produzione e di spaccio di questa sostanza devastante. Da anni ormai ci troviamo di fronte ad un aumento della disoccupazione che ha investito il terziario, soprattutto quello commerciale ed è sotto gli occhi di tutti la chiusura di tanti, tantissimi punti vendita. Il commercio si è spostato nelle mani delle grandi lobbies italiane e straniere e ai partinicesi non resta che procurarsi un posto da commesso per poche centinaia di euro. Prospettive future? Ci sono dei poli di sviluppo già individuati dalle forze culturali, sociali e politiche, ma il meccanismo è lento a mettersi in moto sia per incapacità che per espressa volontà. L’agriturismo legato al recupero e alla valorizzazione dei beni monumentali del territorio e la costruzione di opere pubbliche di vasto respiro, nonché l’incremento del turismo culturale e religioso dovrebbero essere momenti qualificanti per la crescita di Partinico. Ma com’è la nostra gente? Da un punto di vista somatico è possibile vedere tutte le scale dalle alte stature bionde normanne ad alcuni esempi più tipicamente indigeni. In generale però si può parlare di una statura media tipica siciliana, schiettamente mediterranea, caratterizzata dal colorito bruno, dagli occhi luminosi, dalle capigliature scure, fini, folte. Chiaramente i tratti fisici non possono disegnare un ritratto dell’uomo partinicese o della donna partinicese, che li distingua dalla gente di altri paesi, anche perché in questi ultimi anni il processo di livellamento dovuto agli scambi tra paesi e paesi e non ultimo anche dal fatto che ormai vivono a Partinico centinaia di immigrati che si sono inseriti nella nostra comunità è divenuto più costante, tanto da far perdere in parte la nostra identità primigenia. Tuttavia è possibile ancora cogliere alcuni aspetti di ordine psicologico e intimistico che caratterizzano la nostra gente, e primo fra tutti un’espressione solidale, un’aria di famiglia che ci accomuna tutti quanti. Il senso dell’unità familiare poi è ancora di tipo patriarcale, anche se le nuove generazioni cominciano a rifiutare questa impostazione. Osserviamo ancora come il carattere dei partinicesi non è né lieto né loquace, tuttavia la nostra gente ha un animo complesso e profondo in cui albergano fieri sentimenti, fermi e decisi più di ogni legge sociale, un senso di fatalità e di triste comprensione del cammino del mondo, un pessimismo per la gente e le cose, un disincanto per il mondo che dà una profonda tristezza; ma il partinicese ha anche una capacità di astrazione, di visione generale delle cose, di intuizione di valori universali. Purtroppo questi caratteri distintivi così personali si vanno perdendo tra i giovani inseriti come sono in un contesto sociale diverso con problemi da affrontare e da risolvere spesso gravissimi: droga, mafia, violenza, corruzione, disoccupazione, arroganza politica e questo li rende tutti uguali, uguali anche ai giovani di altri paesi e di altre regioni. Assistiamo pertanto a un processo di massificazione la cui portata positiva o negativa non è dato ancora vedere.