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Tommaso Aiello

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Domenico Tempio e la poesia del vero piacere di Tommaso Aiello

2011-10-30 01:00

Tommaso Aiello

Domenico Tempio e la poesia del vero piacere di Tommaso Aiello

Eccomi a voi,carissimi amici,dopo la lunga parentesi estiva,per continuare un discorso già intrapreso in precedenza:la valorizzazione della Sicilia e

Eccomi a voi,carissimi amici,dopo la lunga parentesi estiva,per continuare un discorso già intrapreso in precedenza:la valorizzazione della Sicilia e della sua cultura.Pertanto il tema che continuerò a seguire sarà:Sicilia-Terra di culture.In particolare seguirò la traccia che abbiamo indicato in un recente convegno che ha coinvolto i Club Lions delle province di Palermo e Trapani.Lo scopo dell’approfondimento delle varie culture che si sono susseguite nei secoli e si sono manifestate nei vari campi del sapere umano,della sua ingegnosità,della sua creatività,ha come obiettivo finale,che ho perseguito da tanti e tanti anni,quello di valorizzare il nostro patrimonio culturale che si è manifestato in tutti i campi,e questo per spingere i nostri governanti a dare impulso più costante e coerente al turismo culturale che in questi ultimi anni ha avuto un notevole incremento,ponendosi talvolta anche come alternativa al turismo semplicemente vacanziero.La Sicilia,come tutti sanno,possiede il 9,4% dei beni culturali di tutta l’Italia e ben il 30% dei siti archeologici.Noi vogliamo spingere a valorizzare la nostra cultura che offre aspetti di grande rilievo nel campo letterario,musicale,delle arti figurative,delle tradizioni popolari,della enogastronomia.L’obiettivo è certo molto ambizioso,ma se ci crediamo possiamo anche dare sbocchi di tipo economico che non arrivano più dalle nostre industrie che hanno perso definitivamente il raffronto con la concorrenza non solo del Nord ma anche straniera,Il nostro piccolo e modesto esempio speriamo sia seguito da tanti altri studiosi e soprattutto dalla classe politica che con la sua “fragilità”non ha saputo dare sbocchi positivi,privilegiando sempre  l’assistenzialismo e il clientelismo e facendo quadrato sui propri diritti acquisiti.Vorremmo che i politici più illuminati facessero proprie queste idee e capissero che,se speranza c’è di un decollo economico,questo è dato solo dal potenziamento del turismo, e quello culturale è gran parte di esso.

Ricominciamo col presentarvi un poeta catanese del Settecento,Domenico Tempio,oggi sconosciuto ai più,ma che assieme a Giovanni Meli rappresenta il punto di riferimento più alto della poesia dialettale siciliana.Il Tempio è da considerare anche il maggiore poeta riformatore siciliano,la cui voce si leva contemporaneamente a quella del Parini.Egli fu ammirato e lodato dai suoi contemporanei,ma dopo la sua morte la sua opera fu quasi dimenticata,tranne alcuni componimenti di carattere licenzioso che,pubblicati alla macchia,gli diedero ingiusta fama di poeta pornografico.    Egli è dotato di una sana e robusta mascolinità e di un linguaggio un po’ scurrile e licenzioso che è cosa ben diversa dalla pornografia.Tra i”pornografi” del sette-ottocento,il Tempio è indubbiamente il meno scabroso,il meno sadico,il meno fanatico,il più timorato di Dio.Anche perché le sue proposizioni e le sue invenzioni erotiche mai si prefiggono di perseguire inconfessati ed incoffessabili finalità;la predicazione oscena del catanese esclude da sé la istanza del proselitismo.Il Tempio tratta la materia licenziosa con il distacco del saggio  che ne conosce pienamente le insidie e gli allettamenti,e perciò la domina come e quando crede,sottoponendola al gioco delle sue illimitate risorse poetiche,dissacrandola a suo piacere.Sino a fare la parodia della “pornografia” stessa.E ci riesce come nessun altro.La scabrosità degli argomenti,la paura della scomunica,la difficoltà di una giusta interpretazione dei testi dialettali ha dissuaso i”catoni” nostrani dal concedere un qualsiasi diritto di cittadinanza alle composizioni erotiche del Tempio.Persino Leonardo Sciascia non è riuscito a capire la sostanza di questo aspetto della poesia del Tempio e la licenzia con qualche saccente battuta:”Si tratta, senz’altro,di pornografia:ma non priva di quel pirandelliano candore in cui Moscarda,protagonista di <<Uno,nessuno e centomila>>,si abbatte nella nausea cosmica da cui infine la solitudine lo salva….”Da noi è mancato un Guillaume Apollinaire,sia pure in sedicesimo.Comunque noi ci occuperemo di un aspetto della produzione del Tempio,quello che riguarda la poesia del “Veru piaciri”Per il vino della botte di Domenico Tempio(Catania-1750-1821)non cercate altra etichetta,osserva Santo Calì,che non sia quella della genuinità o,se volete,della denominazione d’origine.E non fategli indossare livree che non si addicano alla sua taglia e alla sua fedeltà.Nella premessa alle opere pubblicate a Catania nel 1814,dalla stamperia degli studi regji,D.Huot lo mostra arguto e sereno indagatore del fatto naturale,della pioggia che lecca le pietre o dell’erba che cresce in silenzio,del flutto che travolge e sconquassa il fragile molo del porto o delle divine forme di una Venere d’alabastro che sorge dalle schiume del mare della Plaja.La poesia del Tempio,in uno dei suoi nuclei essenziali,è la poesia del piacere sensibile;è la celebrazione,vagamente mariniana,dei sensi del corpo,prima dello spirito;e perciò dell’udito e del tatto,dell’odorato e del gusto e della vista;ma soprattutto del piacere, sensibile e sensitivo,dell’amore,che lega e compendia tutti gli altri sensi in sé,avviluppandoli o dissolvendoli.La stessa”Carestia”(che è considerata l’opera di maggiore impegno del Tempio;pubblicata postuma nel 1848,in due volumi,dal catanese Felice Sciuto)rientra, per un verso,nel gioco delle illuministiche intenzionalità tempiane,sottintese o scoperte che siano;perché il poema non canta se non il piacere frustrato nelle sue richieste più elementari.L’improvvisa cieca ribellione,le idee di uguaglianza,di fraternità e della stessa libertà sono corollari in funzione dell’assioma;la problematica sociale,se c’è,è un elemento di struttura ancora troppo fluida,perché la si possa considerare come una delle componenti,o delle istanze,più avvertite del Poeta e dallafolla sorda del proletariato e della piccola e media borghesia,in mezzo alla quale il poeta si aggira ed opera.Ma torniamo alla poesia del piacere sensibile.Resta da vedere cosa siano il piacere ed i piaceri e come si possano distinguere i piaceri reali da quelli illusori,in che cosa infine consiste,una volta individuato,il vero piacere.Il vero piacere sarà l’istinto naturale?O,per meglio dire,il godimento di quei beni,cui l’istinto naturale appetisce?Certamente.Riportiamo due ottave da “L’Amuri vindicatu”.

Ma lu cori è lu nidu

di li passioni;e si livati chisti

l’omu addiventa un truncu;ed havi ogn’omu

li soi,chi li dimustra

nelli varj piaciri e li diletti,

e cui ntra li sorbetti,cui ntra un pranzu,

cui ntra pastrizzi e cui ntra nna taverna

sapi truvarli a trippa cotta e vinu.

 

Curri lu cacciaturi unni lu porta

lu so piaciri.Li nuttati oscuri

passa lu jucaturi unni l’ammutta

la passioni so.Iu vaju appressu

li donni,ed iddi sunnu lu miu pastu,

e curru ad iddi in sentirmi lu rastu:

Perciò nelli passioni

e nelli gusti,chi diversi sunnu,

iu fazzu zoccu fa tuttu lu munnu.

 

Quando sia stato scritto il dramma che vede l’Amore vendicato non lo sappiamo,così come non sappiamo quando sia stato composto,e per chi,il lungo agile epitalamio che si sugella del nome della Primavera.Interessa di più il momento culturale in cui i componimenti abbiano dimenticato la stessa data della loro nascita per vivere al di fuori della rigida cerchia della contingenza e dei contingenti.Nella Primavera il leit motiv che sollecita il piacere viene intonato,sin dalla prima strofe,nei metri consueti dell’Arcadia:

Comu trovi in chistu munnu

varj sempri li piaciri,

in gustarli accussì sunnu

varj ancora li pariri.

 

L’introduzione semplice ci porta immediatamente al nocciolo dell’argomento:considerata la varietà infinita dei piaceri,come e soprattutto quando conviene assaporarli?E,di conseguenza,qual è la stagione più propizia in cui gli amanti,i devoti più convinti del piacere,possono compiutamente<<exercere suam juventam>>?(Il Tempio conosce anche Catullo oltre la letteratura precedente e quella a lui contemporanea).Certo che il piacere va fruito nel suo continuo farsi e raffinarsi:non v’è dubbio che la primavera rappresenti l’habitat e l’optimum,perché la selva amorosa esploda in tutta la sua incontenibile<< lussuria>>.

Nell’età ch’amuri senti

Lu so cori cedi vintu;

nun si mustra renitenti

a stu duci e bellu istintu.

 

Dolcezza e bellezza sono anche gli attributi della Beatrice dantesca e sono attributi dell’istinto,anch’esso verità e da Lucrezio riprende:

Lo splendore della primavera(foto Aiello-2011)

Primavera!E cui nun senti

lu to focu ch’innamura,

e li tratti più eloquenti

di la vuci di natura!

 

Tu distilli e tu mi spiri

ddu languri e tinnirizza,

a cui l’alma di piaciri

nun resisti e di ducizza.

 

Tuttu ama:un duci affettu

prova ogn’omu chi l’invita

ad amari,e senti in pettu

nova forza e nova vita.

 

La poesia del piacere sensibile indulge poi alla vista e all’odorato;ed anche al tatto;abbaglia le pupille,dilata le narici,invita la mano alla carezza;se sfiori il seno della donna amata vi coglierai il polline di Venere.

Lu”Veru piaciri” si articola in quattro parti che in un duro travaglio si accrescono di diverse ottave di volta in volta.La schiera dilettevole dei piaceri,nasce con l’uomo,e l’uomo,nel suo stato di grazia se li gode onesti,puri,convenienti.Don Micio(diminuitivo di Domenico) crede ancora nell’età dell’oro;lui,lilluminista!Perchè se ci fu tempo in cui tutti gli uomini sfogarono i loro istinti bestiali,questo avvenne proprio quando Eros dispiegò,senza alcuna inibizione,il suo prorompente dominio.Ad ogni modo a turbare lo stato della presunta innocenza,giunge inattesa l’Avidità,e con lei tutta una serie di orribili mostri;i veri piaceri fuggono in esilio,riparano nelle incontaminate campagne.Vengono stanati dalle selve,dagli anfratti,dai burroni,cedono vinti davanti all’abbaglio di una moneta d’oro;tutti,eccetto uno,figlio della casta Virtù e del Buonsenso:il Vero Piacere che elegge,come sua sede naturale il cuore di un patrizio catanese,quello del Bonaiuto e lo incita alla magnanima impresa,lo invita a contemplare la bellezza,quale appare nella sua limpida sorgente.Mentre l’anima si estasia,rapita dal suo stesso incantamento,il Genio,quello del Bonaiuto,incomincia la sua attività meravigliosa penetrando tutto,nello svolgersi incessante delle molteplici idee;e intanto coglie della nattura i pregi essenziali,la semplicità,l’economia,la varietà.

E l’Arte? L’Arte se ne sta quasi in cruccio,timida e appartata,non ha l’ardire di manifestarsi,teme di recare offesa ai disegni del Vero Piacere.Ma il Bello la toglie d’impaccio,la chiama come compagna all’opera;sicchè tra Arte e Piacere si accende una nobile gara.

Catania,Monastero dei Benedettini.Disegno di Salvatore Zurria

 

 

 

Il secondo canto ammira la Villa già costruita sul poggio.Questi luoghi,ribadisce il poeta,erano un tempo incolti ed acerbi,aspri e frastagliati di massi disseminati dall’Ignivomo(l’Etna).Il richiamo all’eruzione devastatrice si fa rievocazione della fascinosa leggenda dei fratelli Pii,Anfinomo ed Anapia.L’interno ignora i fasti dell’oro e dell’argento,degli specchi e dei cortinaggi di damasco,ma conosce la gioia delle idee dispiegatesi dal Genio,e soprattutto,il piacere impagabile della Pulizia.L’Accortezza,la Comodità,l’Eleganza,la Galanteria,il Buonsenso popolano le molte stanze;larve della notte di un gusto malaccortamente filosofico,rimangono mute e circospette,diffidenti del loro stesso simbolismo.Parlano di più i preziosi ritratti degli illustri catanesi,che fregiano le pareti delle sale.Don Micio,il Cicerone amoroso,si esalta nel ricordo dei “luminari del Regno”.Il Cicerone,seguito dal visitatore sale per una scala a chiocciola sino alla aerea terrazza da dove si gode un panorama irresistibile.La vista spazia all’intorno,l’occhio si perde nelle “remote immensità profonde”,dove cielo e terra sembra che si tocchino,ma Catania è lì sotto ai suoi piedi.Poi passa in rassegna,orgoglioso di essere catanese,i templi,le cupole,i campanili che sovrastano l’agglomerato urbano:l’Albergo dei Poveri,la Cattedrale,il Castello Ursino,il Cenobio dei Benedettini,l’Ospedale di S.Marco,l’Università.

Catania,Piazza della Regia Università-Disegno di Salvatore Zurria

Al di là di Catania si apre l’immensa distesa del mare.Poi a tramontana della Villa al Borgo sorge maestoso l’Etna con le sue nevi immacolate e il suo fuoco devastatore e purificatore.

Siamo alla quarta e ultima stazione dove l’occhio può visitare il giardino che circonda la Casina cinese,gli Orti esperidi,o quelli di Babilonia,o gli altri di Lucullo che parlano di un passato da leggenda.Ma per il poeta conta il presente e il presente sono le piante e i fiori,i ruscelli e le grotte,l’allegoria dei vegetali e la favola di Pomona.Nella Villa del Borgo c’è posto soltanto per i fiori,per i loro colori,per i loro profumi e per i loro simboli.Il prospero e felice matrimonio tra il Bello e la Varietà-la terza favola-è invenzione del cuore innamorato di un notaio.Quando Madre Natura,-racconta il poeta-,diede al Bello in sposa sua figlia,la Verità,le assegnò in ricca dote tra l’altro come vestiti giornalieri mille e diverse specie di verdure;come vestiti di”comparsa”prati ameni ricamati di fiori;come biancheria le nevi immacolate della montagna,come gioie tutti gli smeraldi,i rubini,i topazi,le gemme degli alberi della primavera. L’ultima parte del quarto canto del poemetto descrive la zona archeologica della Villa del Borgo.

Questo il contenuto di Lu Veru Piaciri sul cui valore artistico in vario modo si sono espressi i critici,non molti in verità,che hanno avuto la ventura di accostarsi al Tempio.Angelo Emanuele,il primo vero studioso del poeta esaminando il poemetto,avverte come il Tempio<<descrittore meraviglioso…gareggi per la vivacità della sua tavolozza col Poliziano,con l’Ariosto,e col Tasso,pur conservando un sentimento profondo del reale….Il sentimento della natura ne Lu veru piaciri è moderno,il poeta riproduce il paesaggio nei suoi particolari più caratteristici,sì che sembra di vedere un quadro pennelleggiato con mano maestra da eccellente paesista:dico un quadro e non una scena,perché tutto in esso vive,si muove,varia.Albe e tramonti,cielo sereno e nuvoloso,mare in tempesta o in bonaccia,terra arida o verdeggiante,tutto il Tempio rifà nelle sue ottave sonanti e perfette,con sentimento vivo e schietto>>!Natale Scalia poi si lascia trasportare da un vero,sincero entusiasmo affermando che la cosa migliore del Tempio,per nobiltà di concetto,per gentilezza di forma e per splendore d’immagini, è senza dubbio il poemetto”Lu Veru Piaciri”.Nel poemetto Micio Tempio aveva illustrato Catania nei suoi monumenti e nei suoi figli più nobili,e nella campagna fertile dei doni di Cerere l’aveva persino giubilata in quei patetici resti archeologici che avrebbero dovuto adornare,e non adornarono,la Villa al Borgo.Quando l’Amor di Patria ritorna alla luce,s’imbatte,alla Porta di Jaci,in Pallade.Catania è ormai in preda al furore di Don Litterio e della Sciancata;bisogna salvarla la patria!E per questo,la Dea della Sapienza,la protettrice della città,va in cerca della perduta Pace.

Esisti,e nun è favula,

ntra sta terra un remotu

locu,ch’è a lu gran numeru

di l’omini non notu;

 

Romitu e sulitariu,

divisu dall’insani

strepiti e da li turbini

di li facenni umani.

 

Ritiru beatissimu

in cui s’ammuccia e veni

di savii un scarsu numeru

e qualchi omu dabbeni.

 Ntra st’unicu ricoviru                                                                                              

scanza lu veru saggiu

di li corrutti omini

la pesti e lu cuntaggiu.

E’ qui che Pallade rintraccia il vero Piacere;quel vero Piacere che,per il mondo,era morto e sepolto:LA QUIETE.

Mentre la Felicità rinvenuta all’ombra di un pergolato rigoglioso,lontano dagli affanni ,è pienezza del godimento del piacere.

Luntanu da lu munnu e soi malopri

sutta un celu benignu a la friscura,

supra un locu eminenti unni si scopri

fra un immenzu orizzonti la natura.

E li vicini colli,chi ricopri

rallegranti gratissima virdura,

in cui Filenu e la vizzusa Clori

di sua innocenza incantanu li cori,

 

in grembu di la Paci e l’Amicizia,

in leta menza,in abitu campestri,

in puri scherzi,in cui nun cc’è malizia,

postu di cantu ogni cuntegnu equestri,

e fra l’amenità sparsi a dovizia

di rosi e gigghi e pallidi jjnestri,

sutta una stanza semplici e pulita,

campa lu saggiu e godi di sua vita.

 

Quegli spettacoli naturali,ora sereni e rasserenanti,ora drammaticamenti tragici,folgorano immagini indimenticabili.La campagna che si distende sulle pendici ai piedi del vulcano ammantato di neve inonda di inconsuete meraviglie i nostri occhi tanto che il paesaggio finisce per cedere il posto a se stesso e gli orti ai giardini,e le messi agli uliveti,e le colline ai fiumi serpeggianti sulla piana,e i terreni scapoli alle colture pettinate dall’erpice.Ma la tempesta fragorosa del mare sconvolto è lì a ricordare che la natura,se vuole,può anche sconvolgerti il cervello e il cuore:

Tempesta in arrivo(foto Aiello 1992)

Già in Austru feru,nuvuli a catasti

in celu ammunziddau scurusi e mesti,

e di l’aria annigghiau li campi vasti

fra lampi e trona e strepiti funesti;

si sintia l’ostinati aspri cuntrasti

di atroci venti,furiusa pesti,

e fra lu scuru d’atra notti,oddiu!

lu celu d’ogni parti si cusiu.

                                                                                                                               

Li trona nun su’ chiù luntani e tardi

né comu prima spaziusi ed urdi:

fannu scoppiu di brunzi e di bummardi

orrendi,e già li sentinu li surdi;

ora pari chi l’aria abbrusca ed ardi,

o chi lu celu si scunquassa e sburdi;

e ch’ora arruzzulassi ccu ribunnu

nna badda immenza di pisanti chiummu…..

 

Questo è realismo,o verismo o naturalismo,se vogliamo,ma soprattutto frammento di

altissima poesia.                                                 

<<Tutt’a un tratto,scriverà più tardi il Verga nella sua tempesta,si era fatto oscuro che non si vedeva più neanche a bestemmiare.Soltanto le onde,quando passavano vicino alla Provvidenza,luccicavano come avessero gli occhi e volessero mangiarsela>>.

Eppure quel cielo tempiano che si cuce da ogni parte te lo senti gravare tutt’attorno come una pesante cappa di pece in una notte di lupi.

Se Giovanni Meli,come abbiamo detto prima,è il maggiore rappresentante dell’Arcadia siciliana,Domenico Tempio è l’interprete più efficace di quei fermenti rinnovatori penetrati in Sicilia nel corso del secolo XVIII e l’impulso naturalistico che seppe imprimere alla cultura siciliana tra Sette e Ottocento determinerà sullo stesso piano morale e nello stesso ambiente catanese la ripresa veristica di fine secolo.

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