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Tommaso Aiello

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Sulla costa di San Cataldo (Golfo di Castellammare-Terrasini), a destra (per chi guarda il mare) della foce de

2021-02-06 00:00

Tommaso Aiello

Sulla costa di San Cataldo (Golfo di Castellammare-Terrasini), a destra (per chi guarda il mare) della foce del torrente Nocella si

Porto di San Cataldo negli anni ‘70(foto originale di T. Aiello)Bisogna tenere presente che il letto del Nocella era in quei tempi molto più largo ed

Porto di San Cataldo negli anni ‘70(foto originale di T. Aiello)

Bisogna tenere presente che il letto del Nocella era in quei tempi molto più largo ed il mare doveva essere un paio di metri più in alto dell’attuale livello, per cui si veniva a formare un’ampia insenatura che permetteva un facile approdo alle navi che scaricavano i loro prodotti sul promontorio, dove sicuramente fu costruito un emporio, e caricavano quelli provenienti dai centri dell’entroterra. È presumibile che in età greca le importazioni riguardassero soprattutto vasellame di tipo corinzio prima e attico dopo, in quanto la produzione locale era molto scadente, mentre i prodotti dell’esportazione dovevano riguardare l’olio, il vino e animali da allevamento. In età romana il commercio doveva essere molto più complesso: tra gli articoli importati è da ricordare la ceramica arretina per i ricchi proprietari ( il popolo certamente usava un tipo di ceramica indigena acroma e non figurata come fanno presupporre le due fornaci ritrovate dal Gruppo Studi e Ricerche e di cui parleremo più avanti), un prodotto raffinatissimo poi, che è il garum(salsa di pesce) proveniente dai mercati della Spagna. Le anfore ritrovate nello specchio d’acqua antistante la spiaggia di San Cataldo ci testimoniano questo lucroso commercio. Reperti sottomarini

San Cataldo-Ciammarita

1-2 Anfore di età imperiale II-IV sec d.C.

3-4 Anfore vinarie italiche I-II sec. a.C.(forse

Si tratta di una fase intermedia di sviluppo tra il tipo greco-italico e la forma Dressel 1.

  I prodotti dell’esportazione dovevano essere il vino e l’olio come sempre, ma anche frumento e cereali vari. In età arabo-normanna sappiamo dal geografo Idrisi (1154) che il commercio marittimo era abbastanza sviluppato e riguardava i prodotti dell’artigianato e dell’agricoltura (cotone, leguminose, granoturco, ortaggi, canna da zucchero, canapa, ecc.) richiesti dai mercati di Tunisi, Sfax e Biserta. L’emporio di San Cataldo dovette continuare la sua funzione di scalo commerciale; ne sono testimonianza i due piatti ellenistici (III sec. a. C.), le due anfore vinarie italiche (I-II sec. a.C.), le due anfore di età imperiale (II-IV sec d.C.) e i vari frammenti ritrovati nel porto di San Cataldo. Abbiamo poi notizia che alcuni sommozzatori sono venuti in possesso di molte anfore in ottimo stato.                                                                                                          

Frammenti di ceramica a vernice nera del VI-V sec. a .C – Frammenti di ceramica di età romana (14 e 20) – fr.ti vitrei( 15-16) – moneta del 18° sec.(17)-frammenti di lame di selce(18-19)

                    Reperti fittili acromi                               Ceramica invetriata medievale    

Ma passiamo al punto più importante e cioè il ritrovamento da parte del Gruppo Studi e ricerche di Partinico( la Sovrintendenza fu informata e la Di Stefano sulla base dei dati e delle foto fornite dal Gruppo, scrisse un articolo su un estratto di Sicilia Archeologica) di due fornaci di età romano-imperiale alla foce del fiume Nocella, durante una delle solite perlustrazioni che il Gruppo effettuava nelle zone archeologiche del territorio di Partinico. La scoperta, fatta con i soci Mario Lai e Giulio Bosco, si è subito rivelata di notevole importanza perché si trattava della prima fornace individuata in tutto il Golfo di Castellammare. Bisogna dire che la spiaggia di San Cataldo, e in particolare la zona dove sbocca il Nocella( oggi il territorio è stato tutto stravolto da un assessorato della Regione, senza che la Sovrintendenza riuscisse a fermare i lavori per fare una campagna di scavi) si presta abbastanza bene al sorgere di un’attività di produzione di laterizi; infatti fino agli Cinquanta nella zona esistevano diverse fornaci per la fabbricazione di tegole e vasellame acromo di tipo domestico, proprio perché la presenza del fiume consentiva di trovare l’argilla necessaria lungo il letto e le sponde. Si può pertanto desumere che la zona di San Cataldo fin dai tempi più antichi sia stata sempre un centro di produzione di laterizi, abbiamo infatti la certezza della presenza di fornaci in età romana, in età medievale (a poca distanza dal Nocella infatti vi sono resti di fornaci utilizzate in età normanna e sveva, così come si rileva da diverse pietre ricoperte di smalto verde-ramina) e in età abbastanza recente (anni Cinquanta).

La bocca di una delle due fornaci.

Le fornaci di Nocella, perché in effetti si tratta di due fornaci, anche se una è del tutto crollata, sono state costruite lungo le sponde del fiume a un’altezza di circa 2 metri e 20 centimetri e sotto il livello del calpestio del terreno soprastante la sponda. La bocca della prima fornace è formata da mattoni crudi color giallo paglierino, che sono pure utilizzati all’interno per formare tre arcate di cui quella centrale alla base ha una luce di m.1,75 ed è sorretta da un pilastrino quadrato di cm. 40 di lato e cm. 90 di altezza.

Le due fornaci sulla sponda del fiume Nocella

All’interno di questa fornace sono stati rinvenuti due frammenti di tegole recanti l’iscrizione ONIASU, mentre lungo la sponda del fiume sono stati ritrovati altri 14 frammenti di tegole recanti sempre l’iscrizione ONIASU, nome che è stato rilevato non solo in alcuni tegoloni provenienti da Raccuglia, ma anche in un tegolone proveniente dalla contrada Scogli Fungia (Scopello, Trapani). Una variante è rappresentata da un frammento di tegolone che reca l’iscrizione “ONACOY”, variante riscontrata sempre a Raccuglia. Un tegolone ha poi l’iscrizione “PORTAS”, che come gli altri ritroviamo in due tegoloni di Raccuglia e con la variante “PORTO” in un bollo in planta pedis di terra sigillata scura sempre proveniente da Raccuglia a dimostrazione che Raccuglia non era soltanto una stazione di posta ma un centro abitato vero e proprio ed era quindi la Parthenicum dell’Itinerario di Antonino. Lo stesso nome poi lo ritroviamo in una antefissa ritrovata a Monte Jato (Vedi Sicilia Archeologica n°38, dicembre 1979- pag. 9). Un terzo nome in un frammento di tegolone è poco leggibile perché le lettere sono molto consumate; l’interpretazione più attendibile è per noi “KYODLON” (lo stesso nome lo ritroviamo sempre a Raccuglia). Sono stati poi rinvenuti diversi mattoni di cotto, un frammento appartenente a una bocca di anfora Dressel 1 tipo B (II sec. a. C. – 1° secolo d.C.) e il collo e la bocca di una piccola brocca in ceramica acroma e con ansa a nastro. Dall’esame dei reperti, che si trovano tutti presso l’Antiquarium Comunale di Partinico, si possono trarre alcune considerazioni:

In definitiva la scoperta di queste fornaci avvalora l’ipotesi che Parthenicum è un centro agricolo la cui campagna è fortemente sfruttata ed abitata e il suo sito è sicuramente Raccuglia che non deve assolutamente essere considerato solo una stazione di posta, ma anche una cittadina che è quella citata nell’Itinerario di Antonino. Se non fosse stato un grosso centro non si spiegherebbe la presenza di queste fornaci che forniscono non solo il centro di Parthenicum ma anche altri centri dando un certo impulso anche al commercio che poteva svilupparsi facilmente sul mare (ricordiamo le anfore ritrovate nel mare di San Cataldo e Ciammarita) con i paesi rivieraschi, ma anche verso l’interno per mezzo di quelle vie di comunicazione naturale rappresentate dal fiume Nocella e dal fiume Jato. Osserva la Soprintendente Carmela Angela Di Stefano( vedi “Scoperta di due antiche fornaci nel territorio di Partinico”, estratto dalla rivista Sicilia Archeologica, anno XV n°49-50,1982 pag.34) che il bollo Oniasu è attestato a Partinico da numerosi frammenti di tegole rinvenuti (sempre dal Gruppo Studi e Ricerche) a Villa Addotta e  in contrada Raccuglia, località nella quale è ormai provata l’esistenza di un insediamento sviluppatosi prevalentemente in età imperiale romana e dalle stesse zone  proviene anche un frammento di tegola con il bollo PORTAS che è stato pure rinvenuto a Monte Jato sulla tegola delle antefisse con testa femminile o con maschera di vecchio schiavo all’esterno dell’edificio scenico, in uno strato di riempimento che ha restituito materiali del III sec. a.C. (vedi H. P. Isler-Sicilia Archeologica 38 1978, pag.9 e Sic. Archeologica 46-47,1981, pag. 61). Dovremmo dunque supporre che ci troviamo in presenza di due fornaci attive già in età repubblicana e appartenenti a due fabbricanti che coprivano, con i loro prodotti, un’area piuttosto estesa e comunque sempre nella piana di Casellammare del Golfo

Le fornaci, come si può dedurre dal carattere delle lettere delle iscrizioni, sono di età romano-imperiale.

Le fornaci appartengono al proprietario “ONIASU” presso il quale lavorano anche altri ceramisti come “PORTAS” che doveva conoscere molto bene il suo mestiere, “ONACOY” e “KYODLON”.

L’attività delle fornaci dura per quasi tutta l’età imperiale.

Le fornaci di Nocella lavorano solo tegoloni e mattoni (la presenza di altri tipi di reperti ritrovati si può giustificare ritenendo che questi servissero al fabbisogno degli operai).

La produzione delle fornaci non serve solo alle necessità di Parthenicum, ma i tegoloni e i mattoni vengono esportati anche nei vicini centri di Scopello e di Monte Jato, come si può desumere dalla presenza in questi posti di tegole che recano il bollo di ONIASU e PORTAS.In definitiva la scoperta di queste fornaci avvalora l’ipotesi che Parthenicum è un centro agricolo la cui campagna è fortemente sfruttata ed abitata e il suo sito è sicuramente Raccuglia che non deve assolutamente essere considerato solo una stazione di posta, ma anche una cittadina che è quella citata nell’Itinerario di Antonino. Se non fosse stato un grosso centro non si spiegherebbe la presenza di queste fornaci che forniscono non solo il centro di Parthenicum ma anche altri centri dando un certo impulso anche al commercio che poteva svilupparsi facilmente sul mare (ricordiamo le anfore ritrovate nel mare di San Cataldo e Ciammarita) con i paesi rivieraschi, ma anche verso l’interno per mezzo di quelle vie di comunicazione naturale rappresentate dal fiume Nocella e dal fiume Jato. Osserva la Soprintendente Carmela Angela Di Stefano( vedi “Scoperta di due antiche fornaci nel territorio di Partinico”, estratto dalla rivista Sicilia Archeologica, anno XV n°49-50,1982 pag.34) che il bollo Oniasu è attestato a Partinico da numerosi frammenti di tegole rinvenuti (sempre dal Gruppo Studi e Ricerche) a Villa Addotta e  in contrada Raccuglia, località nella quale è ormai provata l’esistenza di un insediamento sviluppatosi prevalentemente in età imperiale romana e dalle stesse zone  proviene anche un frammento di tegola con il bollo PORTAS che è stato pure rinvenuto a Monte Jato sulla tegola delle antefisse con testa femminile o con maschera di vecchio schiavo all’esterno dell’edificio scenico, in uno strato di riempimento che ha restituito materiali del III sec. a.C. (vedi H. P. Isler-Sicilia Archeologica 38 1978, pag.9 e Sic. Archeologica 46-47,1981, pag. 61). Dovremmo dunque supporre che ci troviamo in presenza di due fornaci attive già in età repubblicana e appartenenti a due fabbricanti che coprivano, con i loro prodotti, un’area piuttosto estesa, ma comunque gravitante sempre intorno al territorio di Partinico. 

Grazie ad un appassionato ricercatore delle antichità della zona, Benedetto Giambona, abbiamo appreso che su Internet c’era una pubblicazione riguardante il recupero, alla fine degli anni ’50 del secolo scorso, di un tesoro di monete d’oro al largo della Baia di San Cataldo di Partinico. Nel 2008-2010, V. Drost e G. Gautier approfondiscono l’argomento, per cui oggi sappiamo che si tratta di un tesoro di monete d’oro che assommano a 174, 35 gold multiples e 139 aurei, coniate in ben 11 zecche e databili dal 276/277 al 308 dopo Cristo e si riferiscono al periodo in cui Massenzio è uno dei quattro imperatori della tetrarchia. Nel “resumè” dell’articolo leggiamo che la scoperta fu fatta al largo della costa della Sicilia alla fine degli anni ’50: “Le tresor de Partinico” costituisce “l’une des plus spectaculaires trouvalles de monnaies d’or des Bas-Empire. Cette nouvelle tentative de reconstitution rendue possible par la mise a notre disposition d’une documentation inédite, rassemble 174 exemplaires, dont 35 multiples d’or et 139 aurei, s’échelonnant de 276/277 a 308(dopo Cristo). La composition de l’ensemble monstre que la thésaurisation resulte a la fois dune ponction réguliere sur le numeraire en circolation mais aussì, et surtoit, de la perception de donativa successifs. L’apport du tresor est en particulier fondamental pour la connaissance du numeraire en or èmis au debut du régne de Maxence.>> Drost e Gautier ci dicono poi che nel settembre del 1961 fu tenuto a Roma un Congresso Internazionale di numismatica e G. Carson parlò del ritrovamento e che nel 1980 J. Lafaurie fece un tentativo di ricostruzione del tesoro, ma già nel 1977 Bastienne e Metzger avevano pubblicato un libro ”Le tresor de Beaurais,Wettern,1977,a Partinico” in cui si legge “Partinico est une petit agglomeration situè au nord.ouest del la Sicile, distante d’une trentaine de kilometres de Palerme…….La decuverte du tresor aurait eu lieu dans une epave situèe non loin de la cote, au large de Partinico. La provenance maritime du trèsor (ritenuta tale dal Carson sin dai suoi primi studi, essendo le monete) partiellement recouvertes de concrètion dènotant un sèjour prolongè dans l’eau de mer”. Tutte queste testimonianze di studiosi avvalora la certezza che le monete furono ritrovate nel 1958 al largo della Baia di San Cataldo. Drost e Gautier poi si dilungano con l’analisi delle 174 monete e allegano alla fine le foto di tutte le monete che troverete alla fine nella sezione delle foto.

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